C’è stato un tempo in cui le coste della Sardegna erano territorio di scoperta e conquista. Le acque del Mediterraneo erano teatro di navigazioni e combattimenti, e i porti accoglievano le genti che arrivavano dal mare. Parliamo dell’epoca nuragica, nella tarda età del Bronzo, un periodo ancora oggi avvolto dal mistero e su cui archeologici e storici non smettono di indagare.
La Sardegna si distingueva per l’accurata lavorazione dei metalli di cui oggi ci rimangono molteplici ritrovamenti. Non vi sono, però, documenti in grado di raccontarci come si sviluppò la maestria della popolazione nuragica e come questa fosse in grado di selezionare le materie prime. E nemmeno quali tecnologie venissero utilizzate per l’estrazione, o come avvenisse la lavorazione primaria del metallo. Sappiamo invece che vi erano numerose miniere di rame che, mescolato allo stagno, dava origine a uno dei materiali più utilizzati per la creazione di manufatti metallici: il bronzo.
È proprio con questa lega che venivano forgiate le navicelle in miniatura ritrovate all’interno dei nuraghi e oggi esposte al Museo Archeologico di Cagliari. Tutte diverse, erano forgiate sicuramente da conoscitori della navigazione: si distinguono per la presenza di un albero centrale che lascia pensare all’utilizzo della vela e per le impavesate alte, adatte alla difensiva nelle guerre in mare. Avevano anche una valenza simbolica: la prua si sviluppa in un protome, ovvero il busto e la testa di un animale, come il cervo o l’ariete. I disegni incisi raffigurano uomini che portano elmo, corazza e un gonnellino, con scudo sempre presente, pugnali, lance e spade, a indicare la loro natura, forse professione, guerriera.